Trieste, emergenza lavoro nero: “Nelle costruzioni “invisibile” un lavoratore su tre»
di Massimo Greco – Un po’ di ripresa c’è. O meglio, sarebbe assai più consistente, se … Perché la betoniera ha ripreso a girare: nel territorio dell’ex provincia triestina sono aperti 985 cantieri, di cui 344 pubblici, la gran parte dei quali sono concentrati nel capoluogo.
La stagione edile 2016-17, che corre da ottobre a ottobre, ha visto leggermente crescere, per la prima volta dagli anni buoni di Porto Piccolo e dopo un quinquennio micidiale, il numero di imprese (+15 a 380) e di lavoratori (+50 a 1500) iscritti alla Cassa. Ma la Cassa edile, domiciliata in via dei Cosulich di fianco alla scuola, piange, perché le stime dicono che l’evasione/elusione dei contributi provoca un mancato introito pari a due milioni abbondanti di euro, che corrispondono alla “copertura” di circa 800 lavoratori. Abbiamo visto che i dipendenti regolari del settore edile triestino sono 1.500, quindi gli “irregolari” rappresentano – stando a queste valutazioni elaborate dalla Cassa – oltre un terzo dell’occupazione ufficialmente censita. Sono numeri impressionanti: Confartigianato, Cna, i sindacati avevano sì sollevato il dossier-abusivi, ma nessuno aveva mai calato sul tavolo cifre ragionate. Ottocento muratori “fantasma” in un territorio di 212 chilometri quadrati.
Inps, Inail, AsuiTs (sanità pubblica), Dtl (Direzione territoriale lavoro) sono gli organismi che hanno i poteri di ispezione e di controllo, per cercare di stroncare un fenomeno macroscopico, un caso flagrante di dumping sociale che penalizza aziende e lavoratori perbene: a questi enti la Cassa si appella per intensificare la lotta all’illegalità . E lo fa con un documento firmato dal neo-presidente Davide Favretto e dal direttore Armando Marcucci.
Il vertice elenca alcuni fattori, sommando i quali si spiega come si sia andata formando negli anni della crisi la spessa lastra dell’evasione/elusione contributiva. Esempi: l’utilizzo irregolare dei voucher. O l’imprenditore che su 10 dipendenti ne tiene 2 e ne licenzia 8, recuperandoli con partite Iva farlocche. O il ricorso a contratti metalmeccanici, assai meno onerosi, quando in verità si tratta di lavorazioni edili. O l’attività di aziende dell’Est europeo, segnatamente croate e romene, con normative diverse dalle nostre. L’appalto pubblico, che richiede alle imprese il cosiddetto Durc (documento unico di regolarità contributiva), riesce a limitare il fenomeno: ma fino a un certo punto, perchè poi la fitta boscaglia delle ditte subappaltatrici sovente nasconde qualche dimenticanza contributiva. Il problema rompe gli argini – dicono Favretto e Marcucci – con la committenza privata, soprattutto nei cantieri più piccoli e meno visibili.
A presidente e direttore preme spiegare che la Cassa edile non è un optional burocratico, ma un istituto fondamentale e obbligatorio per garantire il buon funzionamento del settore: attende a compiti retributivi e previdenziali, che vanno dalla gestione delle tre mensilità aggiuntive (13°, 14°, 15°) alle indennità integrative per malattia e infortunio. Quella triestina è stata fondata nel 1968 dall’associazione imprenditoriale di categoria Ance e dalle organizzazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil, negli anni successivi anche Confartigianato e Cna sono entrate nella struttura.
Oggi Cassa edile funziona con 9 dipendenti, cioè il direttore Marcucci (l’unico a tempo pieno) e 8 addetti part-time, perché le ricadute della crisi si sono fatte pesantemente sentire anche sull’istituto che ha dovuto ridimensionare i costi. Può contare su un budget annuo di circa 5,5 milioni di euro, che però negli anni buoni arrivava a quota 8: in realtà anche oggi arriverebbe più o meno su quei livelli, se solo facessero capolino quei due milioni che invece mancano perché non tutti saldano i conti con i contributi. Favretto e Marcucci rilanciano il problema con un ulteriore dato: in passato la trasformazione del valore del cantiere in massa salariale toccava il 25%, oggi il monte-paghe non supera il 15%. Sulla carta lo stipendio medio di un muratore si aggira su 1.500-1.600 euro/mese, moltiplicati per 15. Tra paga e contributi il dipendente “regolare” costa all’azienda tra i 40 e i 50 mila euro/anno. All’abusivo molto meno.
E i sindacati chiedono un patto sulla legalità
Un protocollo sulla legalità negli appalti. Per Trieste si approssimano grandi commesse legate – per esempio – al porto, al Portovecchio, a Cattinara e i sindacati mettono le mani avanti: chiedono alle principali stazioni appaltanti del territorio di sottoscrivere l’impegno mirato alla costante verifica delle credenziali (e della fedina) di chi otterrà i cantieri. Un messaggio a Comune, Autorità portuale, Azienda sanitaria. Durante un recente incontro il prefetto di Trieste – dice Michele Piga, segretario della Cgil – si è detto disponibile a confrontarsi sull’argomento. Si tratterebbe di un’iniziativa già lanciata in molte realtà nazionali, come Milano: dal grande appalto origina il subappalto e con esso zone d’ombra. Spesso. «Allora – osserva Piga – meglio intervenire prima che dopo». Perchè al tema della legalità si collega, sia pure non con automatico richiamo alla criminalità , il sempre più diffuso fenomeno dell’evasione/elusione contributiva nel settore edile dell’area giuliana, documentato dalla Cassa edile. La denuncia della Cassa è un duro colpo anche per i sindacati. «Chiaro – riprende Piga – la Cassa costa di più, perché garantisce di più, dalla formazione alla sicurezza. Nei decenni si è rivelata uno strumento prezioso nel migliorare le condizioni lavorative. Togliere risorse all’istituto significa indebolire il sistema bilaterale».
Donato Riccesi, presidente di Ance Pordenone-Trieste, distingue due grandi famiglie nel ricorso al “nero”, l’evasione tout court e l’elusione. L’evasione, a sua volta, conosce molte sfumature. C’è quella che Riccesi definisce la «microattività », ovvero il classico rifacimento “in economia” della toilette. I protagonisti possono essere irregolari o “dopolavoristi”, cioè persone che normalmente svolgono altre attività e che nel tempo libero arrotondano. Poi ci sono cantieri che espongono la tabella di inizio lavoro, «autorizzazioni comunali rispetto alle quali lo stesso Comune potrebbe svolgere una prima attività di verifica». Tra le strutture di controllo Riccesi richiama in particolare l’attività della Direzione lavoro, che però soffre l’inadeguatezza degli organici. L’elusione può toccare anche il pubblico appalto – si arrabbia Riccesi riferendosi alla recente riforma contenuta nella 50/2016 – a causa di una «legislazione bislacca frutto di una classe politica che non conosce il settore».